Indiana Jones and the fate of Atlantis

LucasArts per MS-DOS – Amiga – MacOS – FM Towns – 1992

A un anno di distanza dall’incredibile Monkey Island 2, la LucasArts torna più in forma che mai con un altro capolavoro assoluto del genere punta e clicca. E chi se non l’archeologo più famoso del mondo poteva esserne protagonista?
Indiana Jones and the fate of Atlantis, succede in ordine temporale a the Last Crusade (l’ultima crociata), ispirato all’omonimo film di Steven Spielberg. Questa volta il nostro archeologo si trova alle prese, suo malgrado, col ritrovamento della famosa città perduta di Atlantide nel tentativo di evitare che i soliti nazisti vengano in possesso del leggendario orichalcum, metallo in grado di avere una potenza superiore a quella dell’uranio, utilizzandolo per potenziare le loro armi e portare a termine il folle piano di conquistare il mondo.

Alla ricerca di Atlantide

Il gioco è ambientato nel 1939, poco prima della seconda guerra mondiale. Nella sequenza iniziale, che funziona anche da presentazione al gioco (grandissima trovata!), dovremo aiutare Indiana Jones a cercare una misteriosa statuetta, ritrovata in una spedizione in Islanda, all’interno del museo del Barnett College incaricato da un certo Smith, il quale è in possesso di una chiave in grado di aprire il manufatto. Una volta ritrovata, Indy inserisce la chiave riuscendo ad aprirla e trovando al suo interno una piccola perla di metallo. A questo punto Smith punta una pistola contro Indy e Marcus, ruba statuetta e perla e scappa da una finestra del college. Suo malgrado, nel tentativo di bloccarne la fuga, Indy entra in possesso della sua giacca scoprendo che il signor Smith in realtà è Klaus Kerner, agente del Terzo Reich. Oltre al suo documento d’identità, all’interno della giacca Indy trova anche un giornale con un nome cerchiato in rosso: Sophia Hapgood, sua assistente nella spedizione Jastro in Islanda, è in pericolo!

Inizia l’avventura a spasso per il mondo

Indy a questo punto si precipita a New York per salvare Sophia dalla possibile aggressione dei nazisti. La bella archeologa ha smesso le vesti da ricercatrice intraprendendo la carriera da medium e si trova impegnata in un seminario sulla città perduta, sostenendo di essere in contatto spirituale con Nur-ab-sal, presunto dio e re di Atlantide. Una volta riuscito a parlare con Sophia (ovviamente combinando un bel pasticcio), Jones scoprirà che oltre ad essere una grande conoscitrice del mito di Atlantide è in possesso di una misteriosa collana ritrovata in Islanda e che pare risalire all’antica civiltà atlantidea. I due, quindi, decideranno di tornare insieme al vecchio campo islandese, dove un certo Bjorn Heimdall sta proseguendo le ricerche, nel tentativo di trovare ulteriori indizi per raggiungere la città perduta.

Ingegno, squadra o azione?

Ad un certo punto dell’avventura, vi troverete a scegliere come proseguire. Ci sono tre modalità che portano ad Atlantide, tutte con enigmi completamente differenti tra loro. Potrete scegliere se fare tutto in solitaria con l’ausilio del vostro intelletto, se condividere il vostro viaggio con Sophia oppure fare tutto da soli, ma facendovi strada con la forza bruta. Un’ottimo stratagemma per aumentare la longevità del gioco e che vi farà venire voglia di rigiocarlo una volta finito. Oltre a queste modalità, a seconda delle risposte che si daranno nell’ultimo atto dell’avventura, sono presenti più finali. Il mio consiglio e di salvare la partita prima di decidere come proseguire in entrambe le situazioni per non rigiocare le parti in comune e godervi solamente quelle inedite. L’interfaccia di gioco è la stessa già vista in Monkey Island 2, dunque a sinistra troverete i verbi con le azioni da compiere e a destra l’inventario con gli oggetti raccolti durante la vostra avventura.

Un doloroso addio

Veniamo alla parte tecnica del gioco. A muovere la grafica è il solito e collaudatissimo SCUMM engine. In questo articolo focalizzeremo l’attenzione su due versioni in particolare: Amiga e MS-DOS. Iniziamo dalla versione per il computer Commodore.
Indiana Jones and the fate of Atlantis è, purtroppo, l’ultimo titolo sviluppato da LucasArts per questa piattaforma. L’Amiga 1200 uscì con colpevolissimo ritardo (e detto tra noi non è che fosse questa grande rivoluzione) e sviluppare una versione ad hoc per le vecchie macchine, ormai obsolete, non giustificava lo sforzo dei programmatori anche alla luce delle poche copie vendute (in pochi comprarono la versione originale, molti invece erano in possesso di una copia pirata..). Oltretutto, all’epoca, la stragrande maggioranza degli utenti Amiga era in possesso del modello 500 con massimo 1MB di ram e senza hard disk. Giocarlo cambiando continuamente gli 11 dischi del gioco, era tutt’altro che piacevole e il povero Motorola a 7MHz iniziava ad accusare il peso dei suoi anni di onorevolissima carriera faticando non poco in varie fasi del gioco rallentando in maniera disarmante (fatevi un giro nella piazza di Algeri..), la situazione migliorava decisamente per i possessori del 1200, anche se il chipset AGA non veniva sfruttato in nessuna maniera (peccato perché avrebbe permesso una conversione pressoché perfetta). Anche il decantato iMuse non funzionava come avrebbe dovuto non adattandosi in maniera dinamica alle varie evoluzioni durante lo svolgimento dell’avventura. Per contro, di primo impatto, la grafica non sembra soffrire più di tanto il downgrade dai 256 colori della versione VGA ai 32 (ma come in Monkey Island 2 anche qui in realtà sono quasi il doppio contando quelli dell’inventario) della versione OCS/ECS. Rigiocandolo oggi, il mio consiglio è di possedere un hard disk (o compact flash) e almeno un Amiga 1200, pena un’esperienza talvolta frustrante.
Passiamo alla versione MS-DOS. La grafica VGA restituisce una resa cromatica decisamente migliore, offre diverse animazioni degli elementi presenti sullo schermo e lo scrolling degli scenari è sempre fluido non mostrando rallentamenti o incertezze aggiungendo anche un livello di parallasse non presente su Amiga. Anche dal lato sonoro ne esce vincitrice, sono presenti più musiche e tutta una serie di effetti sonori praticamente assenti sui computer Commodore e l’iMuse funziona a dovere. Uscì anche una versione CD-ROM con in aggiunta il parlato digitalizzato. Bellissime in entrambe le versioni le animazioni dei personaggi, spesso li vedremo gesticolare con assoluto realismo caratterizzandone così le varie personalità.

In conclusione

Indiana Jones and the fate of Atlantis è una delle più belle avventure grafiche di sempre, offrendo un’esperienza se non superiore, almeno pari a quella di Monkey Island 2. Per molti fans rappresenta il vero quarto capitolo dell’archeologo più famoso del mondo e in molti si sarebbero aspettati la trasposizione nelle sale cinematografiche. Così non fu e dopo molti anni, con un Harrison Ford ormai piuttosto invecchiato, uscì il discutibile Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo. Purtroppo rimane anche l’ultimo grande gioco dedicato ad Indy, tutto ciò che arrivò in seguito non riscosse il successo sperato. Forse più che pensare a svilupparne un action game, sarebbe stato opportuno tornare al caro e vecchio punta e clicca, genere che ben si adatta alle avventure del Dr. Jones. Ma probabilmente è solo un pensiero dettato dalla mia vena nostalgica..

2 risposte

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